Il reddito delle società tra avvocati è reddito d’impresa
L’art. 10 della L. 183/2011 (Finanziaria 2012), introducendo la società tra professionisti (STP), ha previsto la possibilità per i professionisti di esercitare l’attività anche in forma societaria. In questo modo, in alternativa allo studio associato/società semplice, è possibile utilizzare i modelli societari previsti dal codice civile: società di persone, società di capitali, società cooperative.
Si ricorda che per “società tra professionisti” si intende la società avente ad oggetto l’esercizio di una o più attività professionali, anche a carattere multidisciplinare, per le quali sia prevista l’iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati (art. 10, comma 3 – 8 Legge n. 183 del 2011 e DM n. 34 del 8.2.2013).
E’ prevista una disciplina specifica con riguardo alle seguenti società:
- società tra avvocati: art. 4-bis della Legge n. 247 del 2012;
- società di revisione: D.Lgs. n. 39 del 2010;
- società di ingegneria: Art. 46, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 50 del 2016.
In questa scheda ci occuperemo della fattispecie della società tra avvocati, la cui disciplina è contenuta nell’art. 4-bis della Legge n. 247 del 2012 di riforma dell’ordinamento forense, così come introdotto dall’art. 1, comma 141 lett. b) della Legge n. 124 del 2017.
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Recentemente, infatti, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con la Risoluzione n. 35/E del 2018, con cui ha chiarito che il reddito prodotto dalla società tra avvocati, costituita ai sensi dell’art. 4-bis della L. 247/2012, è reddito d’impresa. Il chiarimento è importante in quanto ribalta un precedente orientamento, espresso dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione 118/2003, secondo cui i redditi della società tra avvocati costituivano reddito di lavoro autonomo.
Le società tra avvocati possono essere costituite nelle seguenti forme:
- società di persone;
- società di capitali;
- società cooperative.
In qualunque forma sia costituita deve inserire nella denominazione sociale l’indicazione di “società tra avvocati” (art. 4-bis, comma 6-bis della L. n. 247 del 2012).
L’oggetto sociale deve riguardare l’esercizio della professione forense.
Anche se non è specificatamente prevista la possibilità di un oggetto interdisciplinare, sembra consentita l’estensione anche all’esercizio di altre professioni “protette” (nota Ordine Avvocati di Milano 7.2.2018 n. 32).
Dal punto di vista civilistico, le società tra avvocati sono costituite secondo i modelli regolati dai titoli V e VI del codice civile. Quindi, non costituiscono un genere autonomo, ma appartengono alle società tipiche regolate dal codice civile.
Nella società tra avvocati è consentita la partecipazione anche a soggetti non iscritti nel relativo albo, quindi sia professionisti iscritti in albi di altre professioni, sia soci di capitale. Tuttavia la partecipazione dei soci professionisti deve essere di almeno i 2/3 del capitale sociale e dei diritti di voto.
Quindi, almeno i 2/3 del capitale sociale e dei diritti di voto devono essere detenuti da avvocati iscritti all’albo o avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni.
Tale condizione deve rimanere anche successivamente alla sua costituzione. Quindi, in caso di venir meno, la società rischia lo scioglimento e la conseguente cancellazione dell’albo da parte del Consiglio dell’Ordine presso il quale è iscritta, salvo il ripristino, entro 6 mesi della prevalenza dei soci professionisti.
Quanto all’organo di gestione, viene stabilito che:
- la maggioranza dei membri deve essere composta da soci avvocati;
- i componenti non possono essere estranei alla compagine sociale;
i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori.
Società tra avvocati: reddito di lavoro autonomo o d’impresa?
Come accennato nella premessa, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con la Risoluzione 35/E/2018 per la situazione di incertezza che si è creata a seguito di un precedente intervento (Risoluzione n. 118/E del 2003), con cui l’Agenzia aveva affermato che il reddito prodotto dalla società tra avvocati rientra tra il reddito di lavoro autonomo.
Occorre fin da subito chiarire che la Risoluzione 118/E/2003 si riferisce alle società tra avvocati disciplinate dal D.lgs. 96/2001, che prevedeva una peculiare tipologia di società tra professionisti, costituita integralmente da avvocati e soggetta ad un’autonoma disciplina, integrata dal rinvio alle disposizioni che regolano le società in nome collettivo, per i soli fini civilistici e per regolare il funzionamento del modello organizzativo.
Successivamente è intervenuta la L. 183/2011, disciplinante le società tra professionisti, e in tale occasione si era sostenuto che il reddito prodotto da tali società dovesse considerarsi reddito d’impresa, in quanto rilevante ai fini della tassazione non era l’esercizio dell’attività professionale, ma la veste societaria scelta dai soci.
La situazione è ancora più complessa perché la Legge n. 124 del 2017, che ha introdotto la disciplina sulla società tra avvocati mediante l’inserimento del nuovo art. 4-bis, non è al contempo intervenuta sul D.Lgs. n. 96 del 2001, che formalmente, dunque, risulta ancora vigente, creando un evidente contrasto normativo.
L’Agenzia delle Entrate, nella Risoluzione 35/E del 7.5.2018, specifica che anche nel caso di esercizio della professione forense in forma societaria resta fermo il principio della personalità della prestazione professionale. L’incarico può essere svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente.
Sul piano civilistico, specifica l’Agenzia, le società tra avvocati sono costituite secondo i modelli regolati dai titoli V e VI del codice civile. Quindi, non costituiscono un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche regolate dal codice civile e, come tali, sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto. Quindi, in assenza di una esplicita norma, l’esercizio della professione forense svolta in forma societaria costituisce attività d’impresa, in quanto, risulta determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria piuttosto che lo svolgimento di un’attività professionale.
L’Agenzia specifica che la società tra avvocati di cui all’art. 4-bis si discosta dalla precedente società tra avvocati disciplinata dal D.Lgs. n. 96 del 2001 in quanto tale ultimo decreto individuava un nuovo modello societario assoggettato ad una autonoma disciplina i cui aspetti di maggior rilievo riguardavano l’oggetto dell’attività, gli obblighi di registrazione, il regime di responsabilità ed i rapporti con i clienti, e dove, come precisato con la R.M. n. 118/E del 2003, il rinvio alle disposizioni che regolano le società in nome collettivo, operava soltanto ai fini civilistici, mentre ai fini fiscali, per ragioni di coerenza del sistema impositivo, occorreva dare risalto al reale contenuto professionale dell’attività svolta.
In base a quanto sopra esposto quindi l’Agenzia delle Entrate ritiene che anche sul piano fiscale alle società tra avvocati costituite sotto forma di società di persone, di capitali o cooperative, si applichino le previsioni di cui agli art. 6, ultimo comma e 81 del TUIR, per effetto delle quali il reddito complessivo delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, delle società e degli enti commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 73, comma 1, lett. a) e b), da qualsiasi fonte provenga è considerato reddito d’impresa.
In definitiva, quindi, una società di capitali costituita per l’esercizio dell’attività di avvocato sarà soggetta ad IRES, per il reddito prodotto, e ad IRAP, per il valore della produzione, da calcolarsi attraverso il metodo da bilancio; mentre per il reddito d’impresa prodotto da società di persone, e imputato per trasparenza ai soci, sarà soggetto ad IRPEF, oltre che ad IRAP.
Un punto aperto sul quale si attendono chiarimenti è stabilire cosa accade per i soggetti (come le società di avvocati ex D.Lgs. n. 96 del 2001) che, in passato, hanno assoggettato i redditi prodotti alle regole proprie del lavoro autonomo e, quindi, hanno applicato, ad esempio, il principio di cassa e non quello di competenza.
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